I ACQUIRED my first piece of baby-related technology two months ago, just a few hours after the birth of my son. My wife, baby and I were all still in the hospital, and the baby — who looked a bit less confused than my wife and I about this new state of affairs — seemed to need help getting to sleep. After a bit of trial and error, I found that he appeared to be comforted by a gentle, continuous shushing sound near his ear. But how long could I keep shushing? Wasn’t there some easier way?
I then did what everyone of a certain age does when looking for a quick fix to a difficult problem: I pulled out my phone.
A version of this article (By FARHAD MANJOO) appeared in print on November 25, 2010, on page D7 of the New York edition.
Son passati un’anno e mezzo dall’uscita di quell’articolo e in effetti sempre di più la maternità e la paternità diventano tecnologiche. Tecnologiche nella loro realizzazione ma nessuna tecnologia potrà togliere il bello e il necessario di un rapporto educativo con i ragazzi.
Come sempre la tecnologia è aiuto alla vita non sostituzione. Talvolta ci sorprendiamo a pensare che un domani la tecnologia ci porterà a non fare più fatica. Quello che però vediamo emergere sempre di più è la fatica di relazioni “normali” e “serie”.
La tecnologia utile e bella ci consegna il tempo delle relazioni che siamo chiamati a custodire.